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Cibus: la kermesse del food vista dall’interno

Possiamo finalmente dirlo, con un pizzico di scaramanzia, la pandemia inizia ad essere un ricordo!

Tornare in una fiera e vedere fiumi di persone senza una mascherina, ammetto fa un certo effetto!
Un effetto di positività ovviamente (iniziamo a ri-usare, questa parola “positività “ nella sua originale veste di: plus, cosa buona ecc..)
Da operatore del mondo food, visito il Cibus costantemente dal lontano 1996. Parma è la capitale del cibo in Italia, e questa fiera ne consacra ogni due anni la legittimità.
La fiera è stata indubbiamente un successo, sia sotto il profilo della numerica di visitatori, sia nella quantità di aziende presenti espositrici.
Davvero pochi i nomi illustri che mancavano.
La luminosità degli stand, il marketing e la comunicazione utilizzata fanno respirare chiaramente una gran voglia di ripresa, di grandi aspettative per il futuro.
Ma ad ogni tappa, in cui mi sono fermato a salutare amici, conoscenti e operatori di questo grande e bellissimo mondo del food, sotto ai sorrisi smaglianti che tutti gli addetti commerciali fanno, si cela una grande incertezza e preoccupazione.
In effetti dai salumi, agli olii, dalla pasta alle ferine, i danni accumulati negli ultimi 24 mesi e le incertezze di oggi sulla reperibilità delle materie prime, ormai davvero in tutti i comparti, creano grandi ombre su strategie e futuro.
Il contenimento dei costi, è ormai una “Mission Impossibile” e i continui aumenti di listini fanno preoccupare gli operatori di una imminente situazione di stallo e/o implosione.
 Il vento in poppa che l’arrivo della stagione estiva da a tutto il comparto, fa sperare di arrivare a settembre ancora con volumi importanti. Ma dopo?
È ovvio che se la situazione rimarrà questa tutti si aspettano un intervento politico a sostegno del comparto agroalimentare da un lato, degli stipendi dall’altro. Staremo a vedere.
Cibus come ho detto rimane la fiera del food di riferimento, ma quanto è cambiata negli anni? Come si è adeguata al cambiamento dei tempi? Io credo che gli operatori degli enti fieristici dovrebbero iniziare a porsi delle domande. Si può continuare a fare fiere puntando solo su affluenza e strutture?
Cibus ha nei suoi punti deboli da sempre, la collocazione logistica , che di fatto la rende una fiera poco, pochissimo internazionale.
 I comparti di riferimento sono per lo più ambient e freschissimi, ma c’è a mio avviso troppa carenza ancora del mondo Frozen. Questo proprio perché trovandoci nell’area del Parmigiano e del crudo di Parma, quasi in modo naturale si è sempre prediletto mettere in evidenza quei comparti.
È evidente che il Cibus riguardi prettamente il mondo della Gdo, ma non sarebbe il caso di iniziare a mettere in evidenza canali di indubbia rilevanza come il Bakery o l’Horeca in generale?
In fine mi chiedo:
Quanto un ente fieristico oggi nel 2022 dovrebbe indirizzare la strategia dei propri espositori?
La stragrande maggioranza delle aziende, anche quelle più altisonanti, spesso partecipa alle fiere solo con lo spirito di piantare una bandierina di presenza.
Ma invece a mio avviso, le fiere andrebbero strutturate in base a un preciso elemento di comunicazione: prodotto nuovo da lanciare, un re-branding della azienda, la voglia di presentare prodotti per un canale di vendita mai approcciato.
Se questi elementi fossero espletati prima della fiera agli organizzatori, ne verrebbe a mio avviso fuori una gestione e in risalto completamente diverso. L’ente potrebbe creare delle gare sul prodotto più innovativo, oppure sul prodotto più sano, creando in trasparenza delle giurie e un percorso che porta gli operatori ad essere impegnati per tutti i giorni della fiera stimolando la propria clientela a partecipare.
Queste manifestazioni oggi si fanno, ma sono più un contentino tra markettari, senza alcuna partecipazione attiva della clientela.
Salvatore Russo

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